Nel lontano 2007 avventurandomi on the road fino alla Normandia tra i venti freddi delle spettacolari falesie d’Ètretat, in un mercatino locale acquistai fortuitamente tre litografie di un virtuoso disegnatore dei primi del ‘900, due tra loro datate a piè di stampa rispettivamente 1914 e 1916.
Il tema rappresentato dagli scuri del pastello ingrassato è la tragicità della prima guerra mondiale, nelle fasi dell’assalto, la morte, e l’afflizione della famiglia ormai abbandonata a se stessa.
Ritrovandole a distanza di anni mettendo in ordine la mia quadreria, non ho potuto non confrontarle con un’altra sensibilità a loro temporalmente poco distante, indietro nel tempo, che mi si era mostrata quest’estate in un’opera sempre a tema storico ma corrispondente ad un episodio conosciuto ancor prima per la mia formazione da volontario per la Croce Rossa Italiana, ma conviene che vi spieghi per bene.
Fuori dal circuito turistico di massa esistono dei luoghi in Italia poco conosciuti agli stessi addetti ai lavori, spesso nascosti come fossero scatole cinesi in siti di rilievo, come è il caso delle sale del Museo Civico al secondo piano del più famoso Maschio Angioino di Napoli.
Peregrinando all’interno del bastione, a zonzo senza alcuna indicazione da parte di una gestione disinteressata e annoiata, ci si imbatte in una delle più interessanti collezioni di pittura dell’800 e ‘900 italiano a tema storico patriottico.
Tra le meraviglie di firme d’abili pittori ai più poco noti, è possibile stupirsi dinanzi all’opera ad olio su tela “bersaglieri in azione, battaglia tra bersaglieri e fanti austriaci” del 1864 di Francesco Mancini detto Lord (come rintracciabile sul catalogo generale dei Beni culturali https://catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/1500297715), invece sciattamente cartellinata con titolo abbreviato e nientepopodimeno che come “acquerello” (Sigh!)
Il tempo è quello risorgimentale della vittoriosa seconda guerra di indipendenza italiana (preludio alla successiva unità nazionale garibaldina), combattuta dall’alleanza sardo-francese contro gli austriaci tra aprile e luglio del 1859, e il tema è uno degli assalti che trovarono fine nella battaglia di Solferino e San Martino, tra i corpi violati dalle pallottole sfrecciate da ambo le parti nella freddezza di un’avanzata velata di propaganda nel suo intento narrativo.
Tolto l’entusiasmo della presa lombarda e per le migliorie oltre che strategiche, tecnico scientifiche di modernizzazione risultanti da ogni criticità bellica, bisogna fare i conti poi con l’atrocità storica che vide schierati circa 235.000 uomini tra i due fronti dei quali 5000 morirono e più di 23.000 rimasero gravemente feriti, senza contarne i dispersi.
Da questa carneficina, attraverso varie combinazioni diplomatiche ed un pamphlet che la narrava stampato ed inviato a proprie spese a tutti i sovrani d’Europa, Henry Dunant fondò la Croce Rossa, ovvero un corpo di volontari ai quali orgogliosamente oggi appartengo, avente il compito di prestare cure ed assistere tutti i feriti in battaglia a prescindere dallo schieramento, e ricevendo in seguito per tale impegno il primo Nobel per la pace ad Oslo nel 1901.
Proprio nel 1864, anno del nostro dipinto in questione, si tenne la Conferenza di Ginevra, in Svizzera, promotrice di convenzioni internazionali che sancirono la nascita del diritto internazionale umanitario, ma ironia della sorte appena cinquantacinque anni dopo la Grande Guerra del ’14 -’18 oltre che lasciare sul campo militare 10 milioni di morti e 21 milioni di feriti, falciava anche quasi 7 milioni di innocenti civili coinvolti nell’assurdità di operazioni di annientamento totale che trovarono la massima espressione a seguire nel triste crescendo funebre dei 62 milioni della IIWW.
Alla luce di quanto raccontatovi, quel trittico da me conservato gelosamente racchiude quindi in se tutto il pathos che in maniera universale accomuna l’uomo di ogni tempo, nel ripetersi senza fine della sua miseria al cospetto di egoismi superiori nel considerarlo merce di scambio nell’economia della vittoria.
Non sapremo mai se l’autore sia stato a sua volta un soldato, o un mutilato dei propri affetti, ma certamente nella sua carta leggermente ingiallita e per nulla consunta dal foxing resterà impressa in sequenza la testimonianza diretta e senza filtri dell’orrore del mondo che viviamo.
Giovanni D’Onofrio